Sottocommissione clinica
(SCC) della Commissione federale per le questioni inerenti l'AIDS (EKAF):
Raccomandazioni concernenti l'esposizione all'HIV nell'ambito sanitario
Misure generali, chemioprofilassi e annuncio
(Bulletin dell'Ufficio federale della sanità pubblica 1997)
1. Introduzione
Persone che lavorano in ambito sanitario
sono soggette, in caso di contatto con sangue o altri liquidi biologici,
al rischio di contagio con l'HIV. Questo rischio é comunque estremamente
piccolo.
Alla fine del 1995 erano note a livello mondiale 223 infezioni da HIV acquisite
probabilmente sul posto di lavoro. In 79 casi é stato possibile
documentare la sieroconversione con test HIV consecutivi. Negli altri casi
si é constatata una sierologia HIV positiva dopo una possibile esposizione
occupazionale, senza che vi fossero altri fattori di rischio concomitanti
(1).
La maggior parte delle infezioni sul lavoro sono avvenute dopo una ferita
con aghi da siringa o con un oggetto affilato, mentre solo in casi isolati
dopo esposizione di mucose o pelle non intatta al sangue. Queste informazioni
tengono in considerazione unicamente i casi annunciati e documentati e
sottostimano sicuramente la realtà (2). Studi prospettivi, condotti
in differenti paesi su un totale di oltre 6000 pazienti, permettono di
stimare il rischio di trasmissione dopo esposizione percutanea a sangue
HIV-positivo attorno allo 0.3% (1). Il rischio in caso di esposizione delle
mucose viene stimato a 0.03%. Tale valore deriva dall'analisi di un collettivo
di 2885 persone nel campo sanitario con esposizione delle mucose e un'unica
sieroconversione documentata (1). Sebbene questi dati indichino che il
rischio di acquisire un'infezione HIV sul posto di lavoro sia estremamente
piccolo, le conseguenze di una tale infezione sono evidentemente gravi.
Dato che non é disponibile alcun vaccino, tutti gli sforzi devono
essere rivolti alla prevenzione primaria dell'esposizione all'HIV.
1.1 La situazione in Svizzera
Nel gennaio 1989 l'Ufficio federale della salute pubblica ha invitato tutte le istituzioni nel campo sanitario ad annunciare tramite un formulario l'esposizione all'HIV sul posto di lavoro. Era stato anche consigliato di eseguire una sierologia HIV nelle persone esposte a 0, 3 e 6 mesi dopo l'esposizione. Per la Svizzera romanda e il Ticino i risultati sono stati raccolti presso l'Ospedale universitario di Losanna, mentre per la Svizzera tedesca presso l'Ospedale universitario di Zurigo. Fino al 31.12.1995 é stato registrato un totale di 567 esposizioni all'HIV, ivi compresi 42 casi prima del 1989. Si tratta in dettaglio di 335 ferite e 216 esposizioni muco-cutanee (nei rimanenti formulari mancava l'informazione). In riferimento alle ferite, nel 58% dei casi l'esposizione concerneva il sangue e nel 13% dei casi altri liquidi biologici. 29% dei casi non erano specificati. Un test HIV a 0 e 3 mesi é stato effettuato in 256 persone con una ferita e in 118 persone con altro tipo di esposizione. Fino ad ora in Svizzera sono stati registrati due casi di trasmissione dell'HIV sul posto di lavoro. Il primo caso in Svizzera é stato descritto nel marzo 1995 (3). Un'infermiera, mentre stava eliminando un ago nell'apposito contenitore, si ferì con un altro ago. Sul medesimo reparto in quel periodo era ospedalizzato un paziente con AIDS. In seguito é stato possibile dimostrare che l'ago responsabile dell'infezione proveniva effettivamente da questo paziente. Tre mesi dopo l'incidente si dovette constatare una sieroconversione. In un secondo caso pure in relazione con una ferita da ago si é verificata una sieroconversione in un'infermiera. Subito prima di ferirsi accidentalmente, l'infermiera aveva eseguito un'iniezione ad un paziente con AIDS in condizioni terminali.
2. Prevenzione primaria
Il principio della prevenzione primaria
dell'infezione HIV e di altre malattie trasmesse attraverso il sangue si
fonda sull'uso sistematico di misure che impediscono ogni contatto con
sangue o liquidi biologici, indipendentemente dallo stato sierologico del
paziente (precauzioni generali). Queste misure sono già stata descritte
in dettaglio in una pubblicazione dell'INSAI (4) e si possono riassumere
nel seguente modo:
é necessario intraprendere ogni misura precauzionale per impedire
ferite del personale, in particolare ferite accidentali con aghi contaminati
o altri oggetti taglienti. Si deve assolutamente evitare ogni manipolazione
di aghi usati ed in particolare il rincappucciamento dell'ago (re-capping).
Inoltre devono essere resi disponibili dei contenitori resistenti per l'eliminazione
corretta di oggetti appuntiti e taglienti. Nel frattempo sono stati sviluppati
prodotti con speciali misure di sicurezza, come ad esempio aghi che dopo
l'uso si ricoprono automaticamente con una guaina protettiva. L'utilità
di questi sistemi non é stata ancora dimostrata. In tutti i casi
in cui un contatto con sangue o altri liquidi biologici (o uno spruzzo
di tali fluidi) non può essere escluso, si raccomanda di portare
guanti (ed eventualmente occhiali, maschera e tunica protettiva). In questo
ambito é opportuno ricordare la necessità di una protezione
vaccinica contro l'epatite B. I quadri nelle differenti istituzioni sono
responsabili della diffusione e messa a disposizione dei mezzi di prevenzione.
3. Misure dopo una ferita o altra esposizione a sangue o altri liquidi
biologici potenzialmente contagiosi
3.1 Definizione
Le seguenti esposizioni con sangue o altri liquidi biologici potenzialmente contagiosi sono da considerarsi significative:
Sebbene in linea teorica delle lesioni cutanee
non visibili possono rappresentare una porta d'entrata, il contatto del
sangue o altri liquidi biologici con una pelle evidentemente intatta, non
viene considerata un'esposizione significativa, ad eccezione di un contatto
con una grande quantità di sangue o contatto che dura per un periodo
prolungato (parecchi minuti). Si raccomanda di risciacquare con acqua e
sapone e di procedere ad una disinfezione. Sebbene molti virus (tra cui
l'HIV) si inattivino rapidamente all'aria (5, 6), tutto il materiale contaminato
in ambito sanitario deve essere considerato come potenzialmente contagioso,
a meno che tra contaminazione ed esposizione sia intercorso un periodo
prolungato di tempo (parecchie ore).
3.2 Misure urgenti
3.3 Misure riguardanti l'HIV dopo un'esposizione
(per l'epatite si veda la pubblicazione dell'INSAI: ÑPrevenzione
delle infezioni trasmesse attraverso il sangue nell'ambito sanitarioÉ (4))
Le misure ulteriori da eseguire dipendono dal rischio relativo di una trasmissione dell'HIV e sono riassunte nella figura 1 . Immediatamente dopo l'evento accidentale occorre chiarire se:
Per gli accertamenti riguardanti il primo
punto il fattore tempo gioca un ruolo decisivo. Nel caso si renda necessaria
una profilassi antiretrovirale, quest'ultima dovrebbe essere iniziata al
più presto. La decisione in merito é sicuramente semplice
quando nel paziente é conosciuta un'infezione HIV. Spesso questa
informazione non é però disponibile, per cui sulla base di
informazioni anamnestiche, tipo e ubicazione dell'istituzione e altri fattori
ancora, occorrerà stimare la probabilità di essere confrontati
con un'infezione HIV. In taluni casi non sarà comunque possibile
escludere in modo definitivo un'infezione HIV nel paziente indice. D'altra
parte studi con esecuzione sistematica del test HIV in pazienti ospedalizzati,
hanno permesso solo in rari casi di identificare infezioni da HIV non conosciute
in precedenza. Inoltre il rischio di trasmissione in caso di un'infezione
HIV asintomatica risulta inferiore al rischio in caso di AIDS terminale,
nel quale la viremia elevata rappresenta un'importante fattore di rischio.
In caso di dubbio deve essere iniziata una profilassi ed in seguito si
eseguirà un test HIV nel paziente indice (si veda il capitolo 3.4).
Se il risultato del test é negativo, la profilassi può essere
interrotta. Questa procedura presuppone la possibilità di ottenere
rapidamente il risultato del test HIV.
Un influsso decisivo sul rischio di trasmissione deriva dal modo in cui
é avvenuta l'esposizione. I fattori di rischio sono riassunti nella
tabella 1. La stima del rischio individuale può servire come punto
di riferimento per porre l'indicazione ad una profilassi. In caso di dubbio,
considerata la dimostrata efficacia della profilassi e le gravi conseguenze
del possibile contagio, l'uso dei farmaci é raccomandato.
Affinché una profilassi possa essere iniziata al più presto,
ogni persona esposta deve essere in grado di reperire rapidamente un medico
che conosca le misure necessarie e sia in grado di applicarle al più
presto. Ogni istituzione deve definire la procedura in caso di esposizione
ed é responsabile di informare adeguatamente i collaboratori. Il
medico deve decidere sulla base del colloquio con le persone coinvolte
(paziente indice e persona esposta) quali misure devono essere prese per
determinare se si tratti effettivamente di un'esposizione all'HIV. Egli
deve poter stabilire il grado dell'esposizione in base alla dinamica dell'incidente
e al tipo di strumento all'origine della ferita. Inoltre deve riflettere
sull'eventualità di intraprendere ulteriori passi (misure per impedire
nuovi incidenti, altri interventi profilattici e terapeutici, ecc). Indagini
sierologiche nel paziente indice e nella persona esposta devono essere
eseguite solo nel caso in cui si é trattato effettivamente di una
esposizione rilevante con rischio potenziale di contagio HIV. I costi di
queste analisi non possono essere né a carico del paziente indice
né a carico dell'impiegato.
Il medico responsabile dovrebbe essere in condizioni di fornire informazioni
sul rischio di trasmissione dell'HIV, sulla contagiosità nella fase
di incubazione (gravidanza, partner sessuale, donazione di sangue, allattamento)
e sui sintomi di un'eventuale infezione primaria da HIV. Egli dovrebbe
informare in modo ottimale sul senso di una profilassi antiretrovirale.
Oltre all'assistenza in urgenza, dovrebbe essere assicurata anche la presa
a carico medica ulteriore. I medicamenti raccomandati in questo articolo
per la chemioprofilassi dovrebbero essere disponibili per l'uso immediato
in tutte le istituzioni nelle quali vengono curati pazienti con infezione
HIV. Come per tutti gli incidenti sul lavoro, é necessario l'annuncio
all'assicurazione anche nel caso di un'esposizione all'HIV (legge concernente
gli incidenti sul lavoro e al di fuori di esso). Inoltre presunte o effettive
esposizioni ad HIV, HBV e HCV, dovrebbero essere annunciate tramite apposito
formulario ai centri di riferimento designati dall'Ufficio federale della
salute pubblica (per il Ticino e la Svizzera romanda: Centre hospitalier
universitaire vaudois, Prof. P. Francioli, Division autonome de médecine
préventive hospitalière, 1011 Losanna, Tel 021/314.02.52;
per la Svizzera tedesca: ospedale universitario di Zurigo, Dr. J. Jost,
Abteilung Infektionskrankheiten und Spitalhygiene, Rämistrasse 100,
8091 Zürich, Tel 01/255.33.22). Non devono per contro essere annunciati
esposizioni senza un rischio effettivo, ossia nel caso in cui presso il
paziente indice non vi siano indizi né sierologici né anamnestici
di un'infezione trasmissibile per via ematica. Per contro, persone nell'ambito
sanitario nelle quali é stata iniziata una terapia antiretrovirale,
devono essere annunciate in ogni caso. In tale contesto deve essere garantito
il trattamento confidenziale dei dati.
3.4 Esecuzione del test HIV
Spesso lo stato sierologico relativo all'HIV
nel paziente indice non é conosciuto al momento dell'incidente sul
lavoro. Dato che una terapia antiretrovirale dovrebbe essere iniziata al
più presto dopo un'esposizione rilevante, in taluni casi si dovrà
introdurre una profilassi prima che la sierologia HIV del paziente indice
sia conosciuta. Idealmente subito dopo l'esposizione il medico responsabile
(ad esempio medico del reparto) dovrebbe parlare con il paziente indice,
giudicare sulla base dei dati anamnestici e dei reperti oggettivi la probabilità
della presenza di un'infezione HIV ed in seguito ordinare un prelievo per
sierologia HIV previo consenso del paziente indice. Tale esame dovrebbe
essere eseguito in urgenza, al di fuori della normale routine, in modo
che il risultato sia disponibile prima che la persona esposta abbia dovuto
assumere una seconda dose della terapia antiretrovirale.
Nel caso in cui il paziente indice rifiuti di eseguire una sierologia da
HIV, cosa che dall'esperienza accade molto raramente, se esiste il sospetto
di un'infezione HIV nel paziente indice la terapia antiretrovirale dovrà
essere continuata ugualmente.
Se il paziente indice é privo di conoscenza, ad esempio durante
un intervento operatorio o in pronto soccorso, il test HIV dovrà
eventualmente essere eseguito senza aver a disposizione il consenso. Il
paziente dovrà essere successivamente informato del test e rispettivo
risultato. Ogni istituzione deve elaborare delle direttive, che regolino
in modo chiaro la procedura dopo un'esposizione e che contemplino anche
l'esecuzione del test HIV nel paziente indice.
4. Chemioprofilassi
Svariati medicamenti che agiscono in differenti
punti del ciclo di replicazione virale, bloccano la replicazione dell'HIV.
Attualmente sono disponibili tre differenti gruppi di sostanze: 1. inibitori
della trascrittasi inversa analoghi a nucleosidi (NRTI) (AZT, ddI, ddC,
d4T, 3TC), 2. inibitori della trascrittasi inversa non-nucleosidi (NNRTI)
(nevirapina, delavirdina) e 3. inibitori della proteasi virale (saquinavir,
ritonavir, indinavir). Combinazioni di farmaci , come ad esempio AZT +
3TC + indinavir, sono particolarmente efficaci.
4.1 Efficacia sperimentale
Nell'ambito della precedente versione
di queste raccomandazioni (7) é stata presentata una rassegna dei
dati sperimentali. Queste indagini, condotte con l'ausilio di differenti
modelli, hanno mostrato che é raramente possibile impedire l'infezione
HIV tramite una terapia iniziata precocemente dopo inoculazione del virus.
In ogni caso la terapia nel modello sperimentale riduce la carica virale
e di conseguenza la gravità dell'infezione. Da questi esperimenti
si può ugualmente dedurre che l'efficacia dipende sia dalla dose
della sostanza antivirale somministrata, sia dall'intervallo intercorso
tra inoculazione e inizio della profilassi.
Nel modello animale nel caso della somministrazione di una chemioprofilassi
24-36 ore dopo l'esposizione non era più possibile dimostrare un'efficacia.
Nell'uomo non sono comunque disponibili dati in merito.
4.2 Profilassi nell'uomo
Non essendo disponibili studi prospettivi
e controllati che dimostrino l'efficacia di una chemioprofilassi antiretrovirale
post-esposizione, possiamo avvalerci di studi retrospettivi per raccogliere
le necessarie informazioni. Da un lato sono stati pubblicati singoli casi
di fallimento della profilassi con AZT (8). In uno di questi casi si trattava
di un ceppo virale con resistenza fenotipica all'AZT, cosa che in futuro
dovrebbe occorrere più spesso. D'altro canto in un'analisi retrospettiva
con casi di controllo presso persone con esposizione percutanea e accidentale
all'HIV, la profilassi con AZT ha potuto ridurre il tasso di sieroconversione
dell'80% (9, 10).
Vi sono anche fattori che aumentano il rischio di una sieroconversione.
Nello studio in questione erano inclusi 31 casi con sieroconversione e
679 casi di controllo, con parimenti un'esposizione percutanea all'HIV.
Il 74% dei casi e rispettivi casi di controllo, sono stati inclusi tra
il 1990 e il 1994, in un periodo in cui la profilassi era usuale. In 81%
dei casi e 79% dei casi controllo, é stata offerta una profilassi.
9 casi (29%) e 247 casi controllo (36%) hanno eseguito una profilassi.
Tramite un'analisi multifattoriale, sono stati identificati i seguenti
fattori di rischio di una sieroconversione:
Dai dati della tabella 1 si possono trarre le seguente conclusioni: un'elevata
dose infettiva aumenta il rischio di trasmissione, sia tramite la quantità
del sangue infetto, sia tramite la concentrazione delle particelle contagiose
nel sangue. La frequenza di sieroconversione di 0.3% constatato nelle differenti
analisi, rappresenta un valore medio. In assenza di fattori di rischio
il tasso di sieroconversione risulterà inferiore e viceversa.
Nell'analisi multifattoriale dei dati l'effetto dell'AZT é sensibilmente
maggiore (80%) rispetto a quello risultante da un'analisi unifattoriale
con riduzione della trasmissione solo del 30%. Questa differenza é
condizionata dal fatto che nello studio in questione le persone esposte
hanno loro stesse proceduto ad una stima del rischio e in presenza di fattori
di rischio, erano più motivate ad intraprendere una profilassi con
AZT. Questi dati fanno anche comprendere l'effetto moderato della chemioprofilassi
nel modello animale. L'inoculo nel caso di un'esposizione occupazionale,
é sensibilmente inferiore rispetto all'esperimento (nel modello
animale l'inoculo conduce nel 50% dei casi ad una sieroconversione). E'
un fenomeno generalmente noto che l'efficacia di una profilassi correla
in senso inverso con la quantità dell'inoculo. Di conseguenza sembra
plausibile che l'AZT protegga nel caso di un piccolo inoculo, ma fallisca
nel caso di un grande inoculo.
Sulla base dell'esperienza con la terapia antiretrovirale di pazienti con
infezione da HIV, si può presumere che una terapia combinata possa
avere un'efficacia considerevolmente maggiore nel caso di un grande inoculo.
4.3 Medicamenti per la profilassi
Dall'ultima raccomandazione sulla chemioprofilassi
post-esposizione (7) sono state fatte nuove acquisizioni:
Inoltre indagini cliniche e sperimentali
mostrano che la combinazione di AZT e 3TC possiede un effetto antivirale
maggiore dell'AZT usato singolarmente, senza un aumento significativo degli
effetti collaterali. L'aggiunta di un'inibitore della proteasi potenzia
ulteriormente l'effetto antivirale. Tra gli inibitori della proteasi disponibili,
l'indinavir é più attivo del saquinavir (nella posologia
consigliata) e causa meno effetti collaterali del ritonavir.
4.4 Indicazione all'esecuzione di una
chemioprofilassi post-esposizione
In considerazione dei precedenti dati
la Sottocommissione clinica dell'EKAF raccomanda in caso di un'esposizione
all'HIV la seguente procedura:
1. La profilassi viene raccomandata per:
2. La profilassi viene offerta per:
3. Una profilassi non viene raccomandata per:
E' importante che i benefici e i potenziali
rischi (effetti collaterali) di una chemioprofilassi vengano discussi in
dettaglio con ogni persona esposta. In considerazione del carico emotivo
in persone esposte all'HIV, é necessario garantire un'assistenza
anche nel periodo successivo. Può essere conveniente rendere disponibile
un'informazione scritta per le persone coinvolte.
4.5 Posologia
Non esistono dati sicuri riguardo la dose
dei farmaci e la durata della somministrazione. In analogia alla somministrazione
terapeutica dei farmaci antiretrovirali, la Sottocommissione clinica raccomanda
una dose di AZT di 2x250 mg al giorno (alcuni raccomandano una dose di
carico di 500 mg). Il 3TC viene prescritto a 2x150 mg e l'indinavir a 3x800
mg al giorno. La durata raccomandata della profilassi é di 2 fino
ad un massimo di 4 settimane. Nessun esperto raccomanda un periodo di somministrazione
di oltre 4 settimane.
4.6 Tossicità
Die La somministrazione di AZT a
pazienti HIV positivi, può causare dopo alcune settimane un'anemia
e una neutropenia. Possono anche manifestarsi altri effetti collaterali
quali stanchezza, cefalea, febbre, parestesie, mialgie, miosite, nausea,
vomito, disturbi del sonno e un danno epatico. Nel caso di una somministrazione
profilattica a persone in buone condizioni di salute, si osservano frequentemente
disturbi soggettivi quali uno stato influenzale, una stanchezza spiccata,
nausea, cefalea, o disturbi del sonno. Un'anemia moderata può parimenti
svilupparsi (13). Gli effetti collaterali di un trattamento breve con AZT
sono reversibili. Nelle donne in gravidanza si somministra attualmente
l'AZT come profilassi della trasmissione verticale, senza apparizione fino
ad oggi di complicazioni significative.
Il 3TC viene di regola ben tollerato anche nella terapia combinata.
Nei pazienti con infezione HIV gli effetti collaterali più frequenti
sono nausea, diarrea e cefalea. A livello di laboratorio sono state riscontrate
delle neutropenie. Negli esperimenti su animali in gravidanza non sono
stati osservati effetti negativi. Per contro non vi sono ancora dati concernenti
donne incinta per cui in costoro occorrerà una valutazione accurata
del rapporto rischio-beneficio. Nel caso di un trattamento anti-retrovirale
in donne in età fertile, dovrà essere parallelamente garantita
una contraccezione, di preferenza con preservativo, in considerazione del
fatto che nelle persone che qualificano per una somministrazione profilattica
di AZT e 3TC, esiste il rischio di un'infezione HIV. Si raccomandano quindi
rapporti sessuali con protezione per evitare il rischio di trasmissione
al partner.
L'indinavir viene generalmente ben tollerato da pazienti con infezione HIV. Manca per contro l'esperienza nell'uso in persone senza infezione HIV. Gli effetti collaterali principali sono nausea, cefalea, diarrea, stanchezza e una percezione alterata del gusto. Negli esami di laboratorio si possono riscontrare un aumento delle transaminasi e della bilirubina e una proteinuria. Comunque solo nell'1% dei pazienti si é dovuto sospendere la terapia a causa degli effetti collaterali. In circa 4% dei pazienti trattati, si é manifestata una nefrolitiasi, senza però compromissione della funzione renale. Con la somministrazione dell'indinavir si raccomanda quindi un'assunzione sufficiente di liquidi di almeno 1.5 litri al giorno per ridurre il rischio di calcoli renali. In esperimenti su animali in gravidanza non sono stati osservati effetti negativi di rilievo. Non sono disponibili dati da studi controllati su donne incinta. Di conseguenza la somministrazione dell'indinavir in donne potenzialmente gravide deve essere preceduta da un'accurata valutazione dei rischi. Durante la terapia antiretrovirale deve essere garantita la contraccezione.
La tossicità a lungo termine della
terapia combinata raccomandata in persone senza infezione HIV é
sconosciuta. Poiché la maggioranza delle esposizioni non comporta
un contagio da HIV, la prescrizione della terapia antiretrovirale deve
contemplare l'analisi della potenziale tossicità. Nel caso di effetti
collaterali che comportino una modifica dei dosaggi o la modifica della
terapia, si raccomanda di consultare qualcuno con esperienza nell'uso dei
farmaci antiretrovirali e nella trasmissione dell'HIV. Tutti i casi in
cui é stata iniziata una terapia antiretrovirale, dovrebbero essere
annunciati ai centri di riferimento tramite l'apposito formulario. In tale
contesto devono essere anche annunciati eventuali effetti collaterali e
conseguenti misure intraprese. Tale procedura renderà possibile
una visione più completa sulla tolleranza della chemioprofilassi.
4.7 Controlli
All'inizio del trattamento si raccomandano
i seguenti esami di laboratorio: esame ematologico completo, GPT/ALT e
creatinina. In caso di valori patologici il proseguo della profilassi deve
essere riconsiderato. Tutti gli esami vengono ripetuti dopo due settimane
e al termine del trattamento.
4.8 Indagini sierologiche
Un controllo della sierologia HIV é
necessario a 0, 3, 6 e 9 mesi dall'esposizione. Di regola la sieroconversione
si manifesta entro i primi tre mesi. In considerazione dell'influsso della
profilassi antiretrovirale, non si può escludere un ritardo nella
sieroconversione. In tutti i casi con sospetto clinico di sieroconversione
la sierologia deve essere eseguita immediatamente, eventualmente in combinazione
con altri esami particolari. Per questi casi si raccomanda di consultare
i centri di riferimento.
4.9 Varia
I costi connessi con il trattamento antiretrovirale
(AZT, 3TC, indinavir) e gli esami di controllo non devono essere a carico
del dipendente, ma dovranno essere coperti dall'assicurazione infortuni.
Di conseguenza ogni esposizione deve essere annunciata come incidente all'assicurazione
competente. Ogni istituzione in cui vengono curati i pazienti HIV positivi,
devono essere disponibili AZT, 3TC, indinavir, per poter iniziare immediatamente
un trattamento profilattico.
4.10 Esposizione potenziale al di fuori
dell'ambito sanitario
L'esposizione accidentale al di fuori
dell'ambito sanitario non rappresenta di regola un'esposizione significativa.
Le raccomandazioni riguardanti la profilassi antiretrovirale, non possono
essere trasposte a queste situazioni nelle quali ogni caso dovrà
essere valutato individualmente. Persone con esposizione al di fuori dell'ambito
sanitario dovrebbero in caso di dubbio annunciarsi al più presto
possibile al pronto soccorso dell'ospedale più vicino.
Per informazioni:
Autori principali: J. Jost, A. Iten, P.
Meylan, C. Colombo, A. Maziérik
Centri di riferimento per le infezioni
trasmesse dal sangue in ambito sanitario:
Bibliografia:
Tabella 1: fattori di rischio di una sieroconversione dopo esposizione percutanea all'HIV
Fattori di rischio |
rischio relativo |
95% CI |
ferita profonda |
16.1 |
6.1 - 44.6 |
sangue visibile sull'oggetto |
5.2 |
1.8 - 17.7 |
Nadel mit vorgängigem Gefässkontakt (Vene oder Arterie) |
5.1 |
1.9 - 14.8 |
AIDS terminale nel paziente indice (decesso entro 2 mesi) |
6.4 |
2.2 - 18.9 |
esecuzione di una profilassi con AZT |
0.2 |
0.1 - 0.6 |